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La Turchia di Erdogan calpesta le donne 

Marta Ottaviani ansa
Pubblicato il 23-07-2020

Da due giorni il colore simbolo delle proteste contro la violenza ha invaso le piazze

«Asla sessiz kalmayacagiz», non staremo mai zitte. Lo hanno ripetuto migliaia di donne negli ultimi due giorni in tutta la Turchia. Un'onda viola, il colore tradizionalmente legato alla violenza contro le donne, che non accenna ad arrestarsi e che, dopo Istanbul, sta contagiando anche città dove il partito islamico Akp del presidente Recep Tayyip Erdogan ha una maggioranza schiacciante.

Tutto è partito a inizio settimana, quando nei boschi della regione di Mugla, sulla costa egea meridionale, è stato ritrovato il corpo carbonizzato di una giovane donna. Quei luoghi, noti per la bellezza del mare e della natura, hanno lasciato posto a un orrore che ha scosso profondamente il Paese. Il nome della vittima è Pinar Gultekin. Aveva appena 27 anni e studiava economia.

A ucciderla è stato il fidanzato, Cemal Avci, 32 anni e un figlio da una precedente unione, che ieri ha rivelato particolari agghiaccianti dell'omicidio. «Ci ho messo massimo 20 secondi a strangolarla - ha detto alla polizia, riportato dal quotidiano "Hurriyet" -. Poi ne ho bruciato il corpo».

Un delitto a sangue freddo, probabilmente per punire Pinar, che aveva una vita davanti e non voleva farsi soffocare da una relazione troppo totalizzante. Ma che in Turchia ha provocato una reazione che dai social si sta riversando nelle strade.

Hanno iniziato due giorni fa a Istanbul, quando in piazza sono scese migliaia di donne, con cartelli che recavano i volti di altre vittime innocenti di una violenza brutale e ingiustificata. Burcu Cifti, Yagmur Onut, Deniz Aktas e decine e decine di altre. Tutte giovani la cui vita è stata stroncata nel fiore degli anni e che spesso non hanno ottenuto giustizia.

Nella megalopoli sul Bosforo sono tornate in piazza anche ieri. «Ho 34 anni - ha spiegato ai media turchi Kalben, musicista - e da almeno 30 so che cosa può succedere a una donna in Turchia. Vedo le mie sorelle morire sotto i colpi della violenza tutti i giorni». «Non ho parole per descrivere la mia rabbia - ha dichiarato Zeynep, un'amica della vittima, che ha manifestato a Besiktas, uno dei quartieri di Istanbul più progressisti -. Pinar ha dovuto lottare per la sua vita dall'inizio alla fine e se l'è vista strappare da quel mostro».

Ieri, i comitati femministi e le associazioni contro la violenza sulle donne, coordinati come sempre dalla Kadn Cinayetlerini Durduracaz Platformu, la piattaforma «Fermeremo la violenza sulle donne» sono scesi in piazza nella capitale Ankara e in altre importanti città della Turchia come Eskisehir, Mersin e persino Bursa, detta «la verde» per la bellezza dei suoi giardini e perché ospita due fra le moschee più importanti del Paese. Oggi sarà la volta di Kayseri e Gaziantep, da tempo sotto il fermo controllo del partito del presidente. Segno che in Turchia il malessere è diffuso.

Uno dei motivi che hanno scatenato questa reazione è la sorte di Pinar Gultekin somiglia fin troppo a quella di Ozgecan Aslan, studentessa di Mersin, nel Sud-est del Paese, pugnalata e carbonizzata perché aveva resistito a un tentativo di stupro. La brutalità dell'omicidio diede avvio a un'ondata di forte indignazione in tutto il Paese, tanto che migliaia di persone, anche nell'Anatolia più conservatrice, sono andati in giro per giorni vestiti di nero, come forma di lutto collettivo. Nel caso di Pinar, la protesta è stata più plateale, anche perché il brutale omicidio della giovane arriva a pochi giorni da alcune dichiarazioni di Numan Kurtulmus, vice presidente dell'Akp e uno degli uomini più vicini al presidente Erdogan, sul sempre più probabile ritiro della Turchia dalla Convenzione di Istanbul, che la Turchia aveva firmato con convinzione. «Quella firma - ha spiegato Kurtulus - è stata un errore. C'è un problema di gender e uno di orientamento sessuale. La comunità LGBT (che in Turchia sta sperimentando problemi sempre maggiori, ndr) trova rifugio dietro a questi elementi, senza contare che la lotta contro il femminicidioè una responsabilità dei singoli governi». Le donne turche, però, temono che, con l'uscita di Ankara, saranno ancora più indifese e lasciate al loro destino. Intanto, gli intellettuali del Paese iniziano a muoversi. Un gruppo di 101 fra scrittori, artisti, attori e musicisti provenienti da parti politiche diverse, hanno fatto appello all'opposizione perché si uniscano in una alleanza democratica contro un governo che ha portato avanti un deterioramento dei diritti senza precedenti. (La Stampa)

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